Il diritto di "pretendere"

Questo è il periodo dell'anno in cui tutto ci ricorda che dobbiamo cercare di essere più buoni, oppure anche solo migliori.

Pensare ad un oggetto da regalare alle persone care può essere diventata una consuetudine se non un obbligo, ma molto spesso si è spinti da un sincero pensiero affettuoso verso la persona che riceverà il nostro dono.

Ecco che quindi quell'oggetto assume un'importanza comunicativa, diventa il simbolismo di un linguaggio non verbale che può cambiare il rapporto fra le persone.

Immaginiamo di scoprire per un caso fortuito che una amica o amico, fin dall'infanzia ha desiderato un libro in particolare, per esempio - “L'isola misteriosa” - e nonostante lo abbia anche chiedesto espressamente, nessuno glielo ha mai regalato. Magari ha ricevuto, anno dopo anno, tutta la bibliografia di Jules Verne, ma mai la sua “isola misteriosa” !

Quando poi avrebbe potuto comprarlo, non lo ha mai fatto, lasciando quel desiderio infantile nell'angolo dei ricordi, forse perchè nel profondo di sé sapeva che ci sono cose che abbiamo il diritto di pretendere, non le dobbiamo comprare o conquistate, ci devono essere date!

Così, consapevoli che dopo 30, 40 o 50 anni non proverà la stessa emozione che avrebbe provato a 8, glielo doniamo, magari per Natale.... e con la speranza che scartando il pacchetto e vedendo finalmente apparire quel “titolo” quasi dimenticato, possa avere il conforto di capire che è vero: ciò che ci è dovuto, prima o poi ci sarà dato.

Certo bisogna capire quali sono le cose che abbiamo diritto pretendere.

Non si tratta della prestanza fisica, né della posizione sociale, né il successo nella professione e nelle relazioni e neanche la salute.

Il fatto di avere o meno queste cose dipende da altri fattori.

 

Ciò di cui siamo creditori nei confronti della vita lo esprime molto bene Alejandro Jodorowsky nel suo libro “La danza della realtà”.

 

In questo libro, fra le altre cose, parla della sua infanzia tormentata all'interno della sua famiglia dove cresce solo, con la sola compagnia del “Rebe”.

Jodorowsky racconta che il nonno paterno, a causa delle vicende travagliate della vita, aveva perso la lucidità mentale e nella sua schizofrenia aveva creato questo personaggio, un sapiente cabalista, che era diventato il suo compagno e confidente e che chiamava Rebe. Alla morte del nonno, pur sapendo che si trattava di un personaggio di fantasia, il “Rebe” fu in qualche modo “ereditato” dal giovane Alejandro che, sopraffatto da una famiglia quasi “matrigna”, aveva come unico riferimento il Rebe al quale si rivolge e chiede:

« … Domandai al Rebe: “Tu che sai sempre tutto, dimmi che cosa posso pretendere da questa vita, che cosa mi è dovuto, quali sono i miei diritti fondamentali”. Immaginai quello che il Rebe mi avrebbe risposto:

“Innanzitutto, dovresti avere il diritto di venire generato da un padre e una madre che si amino, durante un atto sessuale coronato dal reciproco orgasmo, affinchè la tua anima e la tua carne abbiano come radice il piacere.

Dovresti avere il diritto di non essere considerato un incidente né un peso, bensì un individuo atteso e desiderato con tutta la forza dell'amore, come un frutto che deve dare un senso alla coppia, trasformandola in famiglia.

Dovresti avere il diritto di nascere con il sesso che la natura ti ha dato (è sbagliato dire: 'Aspettavamo un maschietto e invece è nata una femmina' o viceversa.)

Dovresti avere il diritto di essere preso in considerazione fin dal primo mese della tua gestazione. Sempre, in ogni momento, la donna gravida dovrebbe accettare di essere due organismi in via di separazione e non uno solo che si espande. Nessuno può considerarti responsabile degli incidenti che potrebbero intervenire durante il parto. Quello che avviene all'interno dell'utero non è mai colpa tua: per rancore nei confronti della vita, la madre non vuole partorire, e mediante il subconscio ti arrotola il cordone ombelicale attorno al collo e ti espelle non ancora formato, prima del tempo. Non volendoti consegnare al mondo, in quanto sei divenuto un tentacolo pieno di potere, vieni trattenuto più a lungo dei nove mesi, e il liquido amniotico si sarà seccato bruciandoti la pelle; ti si fa ruotare fino a che saranno i piedi e non la testa a scivolare verso la vulva, i morti entrano nel loculo così, con i piedi in avanti; ti si fa ingrassare più del dovuto così non potrai passare dalla vagina e il parto gioioso verrà sostituito da un freddo cesareo che non è parto ma estirpazione di un tumore. Rifiutandosi di accettare la creazione, la madre non collabora con i tuoi sforzi e chiede l'aiuto di un medico che ti schiaccia il cervello con il forcipe; poiché soffre della nevrosi da fallimento, ti fa nascere semiasfissiato, azzurrino, costringendoti a rappresentare la morte emozionale di chi ti ha generato...

Dovresti avere diritto a una profonda collaborazione: la madre deve voler partorire tanto quanto il bambino o la bambina vogliono nascere. Lo sforzo sarà reciproco e ben equilibrato. Dal momento in cui tale universo ti produce, è tuo diritto avere un padre protettivo che sia sempre presente durante la tua crescita. Così come a una pianta assetata si da l'acqua, quando manifesti un interesse hai il diritto che ti venga data la possibilità di realizzarlo, affinchè tu ti possa sviluppare sulla strada che hai scelto.

Non sei venuto qui per realizzare il progetto personale degli adulti che ti impongono mete che non sono le tue, la principale felicità che ti offre la vita è consentirti di arrivare a te stesso. Dovresti avere il diritto di possedere uno spazio dove isolarti per costruire il tuo mondo immaginario, per vedere quello che vuoi senza che i tuoi occhi vengano limitati da una moralità effimera, per ascoltare le idee che desideri, anche se sono contrarie a quelle della tua famiglia.

Sei venuto qui soltanto per realizzare te stesso, non sei venuto a occupare il posto di un morto, meriti di avere un nome che non sia quello di un parente scomparso prima della tua nascita: quando porti il nome di un defunto, è perché hanno innestato su di te un destino che non è il tuo, rubandoti la tua essenza.

Hai il pieno diritto di non venire paragonato a nessuno, nessun fratello nessuna sorella vale più o meno di te, l'amore esiste quando si riconoscono le differenze fondamentali.

Dovresti avere il diritto di venire escluso da ogni litigio famigliare, di non venire preso come testimone nelle discussioni, di non essere il ricettacolo dei problemi economici degli adulti, di crescere in un ambiente pervaso di fiducia e sicurezza.

Dovresti avere il diritto di venire educato da un padre e una madre che la pensano allo stesso modo, avendo appianato le loro divergenze nell'intimità.

Se divorziassero, dovresti avere il diritto di non essere costretto a guardare gli uomini con gli occhi risentiti di una madre né le donne con gli occhi risentiti di un padre.

Dovresti avere il diritto di non venire sradicato dal luogo in cui hai i tuoi amici, la tua scuola, i tuoi professori prediletti.

Dovresti avere il diritto di non venire criticato se scegli una strada che non rientra nei piani di chi ti ha generato; il diritto di amare chi desideri senza avere bisogno di un'approvazione; e quando ti sentirai capace di farlo, dovresti avere il diritto di lasciare il nido e andare a vivere la tua vita; di superare i tuoi genitori, di andare più avanti di loro, di realizzare quello che loro non hanno potuto fare, di vivere più a lungo di loro. Infine, dovresti avere il diritto di scegliere il momento della tua morte senza che nessuno ti mantenga in vita contro la tua volontà”.»

 

[tratto da “La danza della Realtà” edito da Feltrinelli nella collana Universale Economica Feltrinelli – pag. 56-57].

 

Angela

 

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