il Calzaturologo

Il mestiere del “Calzaturologo” può sembrare surreale solo quando ci si sofferma sul termine e non sul suo concetto.

È interessante ascoltare il senso che Alessandro trova nelle sue scarpe, semplice eppure ovvio:

«Devono essere morbide e non opprimere le dita preziose, per penetrare con la massima felicità nell’indomani, in ciò che ci aspetta più avanti, che è sempre un premio, perché la meta di tutte le strade è Dio e non la morte che è solo una metamorfosi… » 

Tratto dal libro:

"Quando Teresa si arrabbiò con Dio"

di Alejandro Jodorowsky

 

Fare un mestiere normale significa perdere la libertà. Bisogna fare mestieri sconosciuti, che non abbiano a che vedere con la vita materiale, ma che producano stati di coscienza"

 

 Per cinque anni Alessandro fece il calzolaio e Teresa l’indovina... faceva delle tournée di tre o sette giorni, a volte quindici, e tornava sempre con un gran sorriso e con un cesto pieno di uova, polli, pagnotte, frutta, verdura, dolci e altre vivande, oltre che a una discreta quantità di denaro.

Beniamino, Giacomo, Fanny e Lola erano avvisati del suo arrivo dal fracasso dei campanelli di Bianco e Negro... Anche loro ormai parlavano lo spagnolo, perché frequentavano la Scuola Pubblica che era obbligata a impartir loro, oltre all’istruzione, anche una colazione gratuita.

Invece Alessandro era riuscito a imparare una sola parola della nuova lingua: “mercoledì”.

Ogni volta che un cliente gli chiedeva:

Quando saranno pronte le mie scarpe?” lui rispondeva: “Mercoledì”.

Quanto costa la risuolatura?“Mercoledì.”

Oggi è una bella giornata, vero?“Mercoledì.”

 

Ma se non era dotato per le lingue, come calzolaio possedeva invece qualità più che brillanti.

Respinse la proposta dell'Anar

chico e non addolcì vuoti né corresse ombre, ma gli propose invece di svolgere la sua missione calzaturiera in maniera ben diversa dal solito, ossia confezionando scarpe su misura al servizio non solo dei piedi ma anche dell’anima.

E senza un prezzo fisso. “Che ogni cliente paghi ciò che vuole o può. Questo lo costringerà a un esame di coscienza, a scegliere tra dare il minimo, il giusto o il massimo, il che gli servirà a conoscere se stesso.” All’Anarchico piacquero tali idee e insignì mio nonno del titolo di Calzaturologo.

 

Alessandro si recò nell’immondezzaio della città e raccolse tutti i pezzi di cuoio e di tela grezza che trovò. Nonché pelli di topo, gatto, cane. E pezzi di legno. Li avrebbe utilizzati come materiale per creare modelli o fare riparazioni.

 

Tornato nella sua stanzetta si sdraiò a meditare e fece sfilare davanti agli occhi le scarpe e gli stivali che aveva lucidato nell’esercito per duecentosessanta settimane.

Vide com’erano fatti e ne analizzò le parti.

 

Prima di tutto la suola, la piattaforma portatile, il sostegno protettivo che doveva rendersi invisibile affinché la pianta del piede sentisse la sua esistenza come una seconda pelle, sicura, invulnerabile, sensibile e soprattutto piena d’amore.  

Suole come madri che partorissero ogni passo con volontà ferrea, dando l’assoluta speranza di arrivare a destinazione, produttrici costanti del cammino, suole patrie…

 

E il calcagno? Deve sostenere in modo vigoroso, ispirare confidenza assoluta, essere un muro che divide dal passato e situa il passo nella piena realtà, nello splendido presente, lasciando che il tacco superbo conquisti il posto, penetri, prenda pieno possesso, diventi l’asse del gioioso fiore della vita. Ma nel contempo non deve essere duro, pesante, bensì delicato e insieme potente, non solo per spronare il piede in avanti, verso il futuro, ma anche per assorbire l’oceanica spinta del passato…

 

E le punte? Devono essere morbide e non opprimere le dita preziose, per penetrare con la massima felicità nell’indomani, in ciò che ci aspetta più avanti, che è sempre un premio, perché la meta di tutte le strade è Dio e non la morte che è solo una metamorfosi… Che ogni passo fatto con le mie scarpe conduca gli uomini alla felicità, che siano benedetti…